Buongiorno,
condivido con te le ultime notizie dalla Borsa LME relative alla scorsa settimana ed alcuni approfondimenti dal mondo dei metalli.
LME Week amara: il tradizionale “effetto Londra” svanisce. Prezzi degli “industriali” in stallo, segnando un netto contrasto con gli anni passati.
Gli eventi dovrebbero essere giudicati esclusivamente in maniera oggettiva, soprattutto in ambito di lavoro e quindi risultare professionali nelle analisi. La parte soggettiva, seppure più stimolante e coinvolgente, in certe situazioni è meglio lasciarla da parte.
Una settimana, quella del LME Week, decisamente sottotono, secondo l’analisi oggettiva, tremendamente mesta, seguendo i canoni del giudizio soggettivo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dall’evidenza dell’indice LMEX, appena positivo dello 0,2% rispetto a otto giorni fa.
Un grande paradosso quello che è avvenuto a Londra la settimana scorsa; usando una metafora è come se tutti i commensali presenti al “LME dinner” avessero deciso in contemporanea di abbandonare la cena, lasciando intatte succulenti pietanze poste sui tavoli imbanditi di tutto punto.
La traduzione è la seguente: l’ingente quantità di denaro arrivata a Londra per essere impiegata nelle attività di Borsa è rimasta intonsa. Una massa monetaria destinata per interventi sui principali metalli industriali con finalità rialziste e che ora andrà ricollocata e soprattutto “riconciliata” con le reali esigenze in termini di utilizzi, in particolare per Rame, Zinco e Alluminio.
Fase di stabilità per il Rame a quota 10.600
La quota di 10600 USD 3mesi risulta essere per il Rame il suo ambito operativo e questo in attesa che la massa di denaro collegata al metallo si modelli in base agli eventi di Borsa, ma fino a quel momento il suo prezzo in dollari si manterrà stabile.
Zinco in frenata rispetto alle ultime settimane di euforia
Lo Zinco nelle prossime sedute LME sarà alla ricerca del suo minimo relativo, situazione questa che riporterà la quotazione 3mesi nella valuta statunitense a rasentare linea 2900, abbinata per l’ultima volta al metallo a inizio settembre.
Le Leghe, Ottone e Zama
Il comparto leghe e proprio nel riallacciare quanto appena detto per lo Zinco, vedrà la Zama assumere in chiave diretta una diminuzione del suo valore di produzione, mentre la determinazione del valore medio del prezzo di vendita inizierà lentamente a decrescere.
Nell’ipotesi di un possibile contesto di stabilità del Rame, anche per l’Ottone l’elemento di variabilità del prezzo potrebbe essere rappresentato dallo Zinco e dalla collocazione del cambio Euro/Dollaro e ora in recupero rispetto alla valuta statunitense. La settimana potrebbe aprirsi con un adeguamento al ribasso della “base” barra dell’Ottone, ma non costituirà una tendenza d’indirizzo e quindi con eventi replicabili nei giorni che seguiranno.
Alluminio debole per le prossime settimane
Un contesto di debolezza del prezzo di Borsa che accompagnerà anche l’Alluminio nelle sedute settimanali, pertanto il livello di 2780 USD 3mesi potrebbe rappresentare il suo momento di massimo relativo.
Nichel ancora in discesa
La valutazione del prezzo LME sarà ancora in discesa per il Nichel e che avrà come suo obiettivo negativo e ipotesi non certo remota di assumere un andamento altalenante nei pressi della linea dei 15100 dollari 3mesi.
Consistenti ribassi anche per il Piombo
Un procedere simile a quello che avrà il Nichel lo farà registrare il Piombo, abbandonando le velleità di rimanere nei pressi della soglia dei 2mila dollari, si vedranno punte di consistenti ribassi che collocheranno la sua quotazione USD in un’area di valore assente da fine luglio.
Per lo Stagno stessa sorte degli altri metalli del listino
Nel raccontare fino a ora di abbandoni di linea dei prezzi e tendenze verso il basso, anche lo Stagno avrà argomenti in tal senso. Il suo punto di riferimento sarà quello di 35mila dollari 3mesi e destinato a diventare, a partire da questa settimana di Borsa, il suo punto di massimo relativo e per un lasso di tempo piuttosto lungo.
UNO SGUARDO ALLA REALTA’ PRODUTTIVA

Le emozioni tornano a guidare i prezzi del rame e qualcuno vede i 22mila dollari…
I fermi produttivi nelle miniere, i costi crescenti e la domanda trainata da transizione energetica e difesa stanno ridisegnando gli equilibri di un metallo sempre più strategico.
Dopo mesi di relativa calma, il mercato del rame è tornato a muoversi sotto la spinta di quelle forze emotive e istintive che spesso anticipano le svolte dei cicli economici.
A Londra, durante il Financial Times Metals and Mining Summit, l’entusiasmo degli operatori è tornato a farsi sentire. Il prezzo del rame al London Metal Exchange ha raggiunto i 10.866 dollari per tonnellata, toccando livelli che non si vedevano da maggio 2024.
Le aspettative, però, sono ancora più audaci e alcuni analisti ipotizzano valori fino a 19.000 o addirittura 22.000 dollari a tonnellata, spinti dal parallelo con le quotazioni record dell’oro.
Le interruzioni delle forniture cambiano lo scenario
Alla base del nuovo rally non ci sono soltanto emozioni, ma fatti concreti. Una serie di incidenti e imprevisti in alcune delle miniere più importanti al mondo – come Grasberg in Indonesia, Kamoa nella Repubblica Democratica del Congo ed El Teniente in Cile – ha ridotto le prospettive di offerta globale. L’International Copper Study Group (ICSG) ha rivisto al ribasso la crescita della produzione mineraria per il 2025, portandola all’1,4% contro il 2,3% previsto in aprile.
La conseguenza è un mercato che si sta rapidamente avvicinando a un nuovo equilibrio. Dopo un piccolo surplus nel 2025, il rame tornerà in deficit nel 2026, con una carenza stimata di 150.000 tonnellate. La domanda, invece, continua a crescere grazie alla transizione energetica, all’urbanizzazione e alla digitalizzazione globale.
Prezzi potenzialmente da record
Gli osservatori del settore ricordano dinamiche simili a quelle del 2003, quando una frana a Grasberg scatenò un rally di più anni. Oggi il contesto non è molto diverso visto che la domanda è strutturalmente forte e l’offerta vincolata.
Alcuni modelli storici basati sul rapporto rame/oro suggeriscono che, rapportando i prezzi attuali dell’oro – oltre i 4.000 dollari l’oncia – il rame potrebbe teoricamente valere più di 20.000 dollari a tonnellata.
Dietro alle tensioni di mercato ci sono problemi strutturali che nessuna speculazione può ignorare. Ottenere un nuovo giacimento richiede in media 17 anni di lavoro e i progetti diventano sempre più complessi e costosi.
I costi di sviluppo nel settore minerario superano regolarmente le stime, con sforamenti medi del 65%. Il caso di Codelco, che ha speso quasi il doppio del previsto per prolungare la vita delle proprie miniere, è emblematico.
Nel frattempo, la capacità di raffinazione cresce più rapidamente dell’estrazione. In Asia, i costi di trattamento (TC) dei concentrati di rame sono addirittura diventati negativi e i fonditori pagano i minatori pur di assicurarsi la fusione della materia prima.
Un divario d’investimenti da 5.000 miliardi di dollari
Secondo McKinsey, per soddisfare la domanda mondiale di rame e altri minerali critici entro il prossimo decennio serviranno investimenti per quasi 5.000 miliardi di dollari. Tuttavia, i ritardi nei permessi, i costi crescenti e la scarsità di nuovi progetti pronti a partire rendono difficile colmare il divario. Tutto questo alimenta la convinzione che i prezzi del rame resteranno elevati nel medio-lungo periodo.
Nonostante un rallentamento nei programmi di transizione energetica in Occidente, la domanda strutturale di rame continua a espandersi. In Cina, la spesa per la rete elettrica è cresciuta del 17% in un anno, mentre il paese sta costruendo 32 nuovi reattori nucleari.
Anche il settore militare sta emergendo come un motore imprevisto della domanda e in Europa rappresenta già circa l’8% del consumo di rame, grazie alla crescente elettronica nei sistemi militari.
A differenza di altri metalli, il rame resta insostituibile per condurre elettricità e calore. Gli errori di previsione visti sul nichel – dove il rapido successo delle batterie LFP ha stravolto le aspettative – difficilmente si ripeteranno.
La scarsità di offerta e il ruolo cruciale del rame nelle infrastrutture energetiche e tecnologiche globali delineano uno scenario in cui le emozioni e gli istinti che oggi stanno spingendo i prezzi, questa volta, potrebbero avere solide fondamenta.
APPROFONDIMENTO

L’alluminio europeo: il paradosso del metallo verde più costoso del mondo
L’Europa produce l’alluminio più pulito del mondo, ma anche il più costoso. Ma per quali motivi costa tanto produrre nel Vecchio Continente?
Nel mondo dell’alluminio, da sempre, si ripete un mantra: “l’alluminio è elettricità solida”. Ma questa affermazione è vera solo a metà.
L’energia elettrica rappresenta senza dubbio una fetta enorme dei costi di produzione, fino al 45% del totale, ma non è la sola responsabile dei prezzi record dell’alluminio europeo.
Se bastasse avere elettricità pulita e abbondante, l’Europa, con il 78% della produzione alimentata da fonti rinnovabili, sarebbe oggi la patria dell’alluminio più competitivo del pianeta. Invece, accade l’opposto.
Il motivo? Non conta tanto da dove arrivano gli elettroni, ma quanto costano sul mercato. Anche una fonderia norvegese alimentata da idroelettrico deve pagare prezzi stabiliti dal sistema marginale europeo, dominato ancora da centrali a gas e dai costi del carbonio. In sostanza, quando il gas è la fonte marginale, tutti (anche chi usa energie rinnovabili) pagano come se bruciasse gas naturale.
Dall’Islanda a Bruxelles: una storia di scelte (e di errori) energetici
La storia del legame tra alluminio ed energia a basso costo è vecchia di decenni. Negli anni ’70, Alcoa scommise sull’Islanda, approfittando dell’energia idroelettrica locale per assicurarsi un secolo di elettricità economica. Fu un successo replicato in Norvegia e Canada, dove la geografia e la politica favorirono l’idroelettrico.
Il resto d’Europa, invece, puntò su reti elettriche legate ai combustibili fossili e su mercati liberalizzati. Quando l’Unione Europea introdusse la carbon tax e la liberalizzazione, l’obiettivo era creare efficienza e sostenibilità.
Ma la crisi energetica del 2020-2023 — tra la guerra in Ucraina, il taglio del gas russo e il boom delle rinnovabili intermittenti — ha mostrato tutti i limiti di quel modello. In pochi anni, l’Europa ha perso metà della propria capacità di fusione, sostituendo la produzione interna con importazioni da paesi meno verdi ma più economici.
Un divario di prezzo che sembra un oceano
Nel 2024, un impianto europeo pagava mediamente 130 dollari per MWh di elettricità, contro i 70 degli Stati Uniti e i 90 della Cina. Nel 2022, il picco era arrivato a 250 dollari, un abisso che ha messo in ginocchio gran parte dell’industria metallurgica del continente.
Anche con la crescita record delle rinnovabili, che nel 2024 hanno coperto il 48% della produzione elettrica europea, i costi non sono calati in modo significativo. Il problema è strutturale: le ore negative di prezzo generate da eccesso di energia solare o eolica non aiutano le fonderie, che lavorano 24 ore su 24 e non possono spegnere e riaccendere gli impianti a piacimento.
Le altre catene invisibili del costo
Oltre all’energia, ci sono altri fattori che pesano sul portafoglio europeo. L’Europa importa quasi tutta la sua bauxite e sempre più anche l’allumina, rendendo il settore vulnerabile a tensioni geopolitiche e costi di trasporto. La riduzione della capacità produttiva ha fatto lievitare i costi fissi, mentre la burocrazia ambientale — tra ETS, CBAM e tasse nazionali — ha aggiunto ulteriori oneri.
A ciò si sommano salari più alti (oltre 30 euro l’ora in media contro i 5 dollari in Cina) e le restrizioni commerciali verso la Russia, che hanno ridotto l’offerta e alzato i premi di mercato. Il risultato è un alluminio europeo di lusso: pulito, ma carissimo.
Solo Islanda e Norvegia rappresentano delle eccezioni. Grazie a contratti di lungo termine e risorse idroelettriche abbondanti, riescono a produrre alluminio a basso costo e a basse emissioni. Ma non sono modelli replicabili dal momento che il resto del continente non può spostare le proprie fonderie sotto le cascate nordiche.
Il futuro tra ambizione verde e sopravvivenza industriale
Oggi l’Europa si trova davanti a una contraddizione cruciale. Da un lato, ha costruito il sistema di produzione di alluminio più pulito al mondo. Dall’altro, lo sta smantellando pezzo dopo pezzo.
Le proposte non mancano, dal riformare il mercato elettrico per ridurre l’impatto del gas sui prezzi, ad abbattere tasse e oneri sulle imprese energivore e accelerare la costruzione di reti per le rinnovabili. Ma il tempo stringe. Senza una svolta strutturale, l’Europa rischia di diventare non il produttore più verde di alluminio, ma un importatore che compra metallo pulito all’estero, pagando però un prezzo sempre più alto.
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