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condivido con te le ultime notizie dalla Borsa LME relative alla scorsa settimana ed alcuni approfondimenti dal mondo dei metalli.

La crescita di tutti gli “industriali” ha spinto il listino del LME a raggiungere il massimo assoluto annuale!

La situazione emersa al termine delle cinque sedute settimanali al LME risulta in netta ripresa per quanto riguarda l’intero insieme degli “industriali”; a conferma dell’indirizzo positivo dei prezzi espressi in dollari, basta prendere visione dell’incremento dell’indice LMEX.

L’indicatore di sintesi del listino LME ha raggiunto i 4530 punti, dopo un balzo positivo di oltre il 4,5% in soli otto giorni e così portandosi ai massimi dell’anno in corso.

Un risultato di questo livello è stato possibile raggiungerlo grazie a un minimo comune denominatore fatto di quotazioni USD in crescita per l’intero assieme di Borsa. Il grande punto di domanda è ora quello di come reagirà la Cina a questa significativa serie di rialzi, a partire dall’8 ottobre, giorno della ripresa produttiva dopo il lungo periodo di vacanza.

L’aspetto valutario in questo particolare momento non è in grado di fornire un ulteriore elemento di analisi d’indirizzo per gli utilizzatori dell’Eurozona, in quanto gli ultimi otto giorni sono stati di marcato equilibrio nel rapporto di cambio tra la nostra moneta e il dollaro.

Significativo apprezzamento del Rame

Il significativo apprezzamento del Rame ha rappresentato un fattore di primaria importanza nell’ulteriore azione di ripresa di tutti i metalli quotati in dollari al LME. L’effetto dell’inerzia rialzista permetterà al Rame di collocarsi ancora oltre la linea dei 10.700 USD 3mesi, riproponendosi ai livelli visti precedentemente nella terza decade di maggio.

Un preludio importante in vista del LME Week, che a partire dal 13 ottobre porterà un’inevitabile fase d’incertezza e indefinibilità dei prezzi degli “industriali” e in maniera particolare sul Rame.

Salita prevista per lo Zinco

La buona proiezione che ha avuto lo Zinco nel corso delle ultime sedute di Borsa non è annoverabile tra gli episodi imprevisti, anzi quota 3mila dollari per questo metallo era un evento atteso da giorni.

Le Leghe, Ottone e Zama

I prezzi delle leghe, inevitabilmente, subiranno dei momenti di elevata instabilità e tutto questo al netto di una componente valutaria che non sarà in grado di fornire un indirizzo complessivo di stabilità.

La Zama agirà in totale sintonia con l’andamento dello Zinco, il cui prezzo è ritornato in una zona di massimo vista in precedenza tra fine marzo e inizio aprile. Un adeguamento rialzista che sarà comunque “morbido”, per la consolidata determinazione dei prezzi di vendita basata sulle medie del periodo.

La confusione regnerà invece nella definizione del valore di mercato dell’Ottone, dove i produttori, soprattutto del comparto barra, dovranno muoversi con minori incertezze rispetto a quelle viste negli ultimi otto giorni e che hanno fatto perdere la bussola a molti utilizzatori. La somma delle variazioni positive ancora attese al LME per Rame e Zinco si tradurranno inevitabilmente in una serie di aumenti importanti per tutto il “mondo del giallo”.

Alluminio stabile oltre 2.700 USD / 3 mesi

L’Alluminio si regolerà più di riflesso rispetto alla situazione di effervescenza del listino, che da un suo insito livello d’indipendenza generato dalle componenti domanda e offerta, ma che in ogni modo permetteranno a questo metallo di stabilizzarsi senza eccessivi affanni oltre la soglia del 2700 dollari 3mesi.

Livello di massimo relativo per il Nichel

Un’ennesima prova di tenuta del livello di massimo relativo è quella che nel corso della settimana attenderà il Nichel. La tensione diffusa sui prezzi dei metalli aiuterà e non poco il metallo a stabilizzarsi in prossimità della tanto agognata linea dei 15.500 USD 3mesi, senza che al momento sia però disponibile un clima di Borsa che gli permetta escursioni rialziste oltre tale soglia.

Anche il Piombo ad un prezzo difficile da auspicare

Gli utilizzatori cinesi che basano molte produzioni nell’impiego del Piombo troveranno il metallo a un livello di prezzo che difficilmente auspicavano e dove determinanti saranno le loro disponibilità nel riassortire i magazzini di materie prime a questi livelli di quotazione.

Scetticismo invece per le quotazioni dello Stagno

Lo scetticismo sta prendendo il sopravvento sull’attuale valore USD 3mesi dello Stagno, cresciuto oltre le più ottimistiche previsioni e alimentato da un contesto di Borsa il cui movimento rialzista è ancora frutto di una misurata ma attenta operatività da parte di un risicato gruppo di speculatori e che stanno mettendo in seria difficoltà l’intero comparto degli utilizzatori diretti e indiretti di questo metallo.

Alluminio: con questi costi energetici l’Europa può competere con Cina e USA?

I produttori europei di alluminio devono affrontare una triplice sfida: le importazioni cinesi a basso costo, l’aumento dei dazi USA e la capacità delle Big Tech di pagare prezzi elevati per l’energia.

Produrre alluminio significa trasformare elettricità in metallo solido.

La smelter industry dipende in maniera totale dall’energia e in Europa i costi dell’elettricità restano strutturalmente più alti rispetto ai competitor internazionali. Dopo il picco della crisi energetica post-Covid, i prezzi all’ingrosso si sono ridimensionati, ma sono ancora ben lontani dai livelli precrisi e difficilmente torneranno competitivi con quelli di Stati Uniti e Cina.

La transizione verso una produzione più sostenibile, se da un lato è inevitabile, dall’altro aggrava un quadro già difficile per un settore che opera con margini ridottissimi o addirittura in perdita.

Il divario con Stati Uniti e Cina

Il confronto con i grandi produttori mondiali mette in luce tutta la fragilità europea. In Cina, il basso costo del carbone, e negli Stati Uniti quello dello shale gas, permettono di produrre alluminio con un costo medio di circa 1.800 euro a tonnellata (escludendo il carbon pricing). In Europa, per competere a parità di condizioni, sarebbero necessari prezzi elettrici fra 30 e 40 euro/MWh, oggi raggiungibili solo in Spagna (grazie alle rinnovabili) e nei paesi nordici (grazie all’idroelettrico).

Il resto del continente, invece, paga tariffe comprese tra 75 e 100 euro/MWh, in gran parte dovute alla crescente dipendenza dal gas naturale liquefatto (GNL), con i suoi costi aggiuntivi di estrazione, trasporto e rigassificazione.

La carta del carbon pricing

Uno degli strumenti che potrebbe riequilibrare il confronto con la Cina è il prezzo del carbonio. Ogni tonnellata di alluminio cinese emette circa 15 tonnellate di CO2, tre volte di più rispetto alla produzione europea. Un sistema di tassazione delle emissioni, applicato anche alle importazioni, ridurrebbe significativamente il vantaggio competitivo di Pechino.

Tuttavia, i meccanismi europei (ETS e CBAM) entreranno a pieno regime solo nel prossimo decennio. Fino ad allora, i produttori del Vecchio Continente continueranno a subire lo svantaggio di costi elevati, mentre i rivali extraeuropei potranno contare su prezzi energetici e ambientali più bassi.

Il peso dei dazi USA e la minaccia cinese

Sul fronte americano, i dazi introdotti durante l’amministrazione Trump hanno blindato il mercato interno. Dal 2018 al 2025 i dazi sull’alluminio sono cresciuti dal 10% fino al 50%, rendendo quasi impossibile per i produttori europei competere negli Stati Uniti.

Di conseguenza, il rischio per l’Europa è di diventare il principale bersaglio delle esportazioni cinesi, con un afflusso di metallo a basso costo che metterebbe ulteriormente in ginocchio le fonderie locali.

Come se non bastasse, i produttori di alluminio devono oggi confrontarsi con un nuovo e potentissimo avversario: i giganti tecnologici. I data center alimentati dall’intelligenza artificiale – di Google, Microsoft, Amazon e Meta – assorbono quantità crescenti di energia rinnovabile, spesso assicurandosi contratti a lungo termine con prezzi che le fonderie non possono permettersi.

La concorrenza con le Big Tech aumenta la pressione sui prezzi delle PPA (Power Purchase Agreements) e riduce le opzioni disponibili per l’industria metallurgica. In questo scenario, la possibilità di ottenere elettricità a costi sostenibili si restringe ulteriormente.

Il riciclo come ancora di salvezza

L’unica strada praticabile per l’Europa sembra essere il riciclo. Produrre alluminio secondario costa in media 1.400 euro a tonnellata, contro i circa 1.950 euro del primario e con un’impronta di carbonio nettamente inferiore.

Tuttavia, due condizioni risultano decisive: proteggere il mercato interno da un’ondata di alluminio riciclato cinese a basso prezzo e aumentare le percentuali di recupero non solo in Europa, ma a livello globale.

Se l’Europa chiudesse le proprie fonderie e aumentasse l’import di rottame senza che gli altri continenti incrementassero il riciclo, il rischio sarebbe quello di stimolare nuova produzione primaria in Cina, vanificando i benefici ambientali.

Una corsa contro il tempo

L’industria europea dell’alluminio è oggi schiacciata da tre pressioni convergenti: l’energia cara, la concorrenza internazionale e la competizione domestica con i giganti tecnologici. L’accelerazione verso il riciclo rappresenta una via d’uscita, ma senza un coordinamento internazionale e senza politiche incisive rischia di trasformarsi in un palliativo.

Il futuro dell’alluminio europeo si giocherà dunque su due fronti e cioè la capacità di trovare elettricità a prezzi competitivi e la rapidità con cui riuscirà a costruire una filiera del riciclo solida e protetta.

APPROFONDIMENTO

Verso un nuovo super ciclo delle materie prime?

Dopo anni di prezzi deludenti e sotto-investimenti, le materie prime sembrano avviarsi verso un nuovo super ciclo.

Dopo un decennio difficile, le materie prime sembrano pronte a tornare protagoniste sui mercati globali. Una combinazione di fattori strutturali, sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda, sta delineando lo scenario per un possibile nuovo super ciclo, un fenomeno raro ma capace di influenzare intere economie per decenni.

Fragilità sul lato dell’offerta

Il mercato globale delle commodities presenta oggi una vulnerabilità significativa e cioè la concentrazione geografica delle risorse. Gran parte della produzione di rame si concentra tra Cile e Perù, il ferro è dominato da Australia e Brasile, mentre il Kazakistan detiene un ruolo cruciale nell’uranio. Anche sul fronte della raffinazione, la Cina ha un primato difficilmente contendibile, in particolare sulle terre rare e sul rame e l’alluminio.

Questa concentrazione offre ai paesi produttori un potere crescente da utilizzare come leva geopolitica. Le recenti tensioni commerciali tra Pechino e i partner occidentali hanno già dimostrato quanto possa essere destabilizzante un blocco o una restrizione delle esportazioni. A tutto ciò si aggiunge un altro elemento: le miniere di facile accesso sono ormai esaurite e i nuovi progetti richiedono costi enormi e tempi di realizzazione sempre più lunghi.

Una domanda che non conosce flessioni

Se l’offerta appare fragile, la domanda non dà segnali di rallentamento. La transizione energetica, l’elettrificazione e la decarbonizzazione globale richiedono enormi quantità di metalli.

Il rame, definito “minerale critico globale” dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), è il simbolo di questa corsa: dalle auto elettriche alle reti elettriche, fino ai data center per l’intelligenza artificiale, la richiesta continua a crescere.

L’IEA avverte che entro il 2035 potrebbe verificarsi un deficit del 30% rispetto al fabbisogno previsto. Non si tratta quindi di una semplice fiammata ciclica, ma di una pressione strutturale che rischia di accompagnare i mercati per lungo tempo.

Il vento finanziario cambia direzione

Sul piano finanziario, le materie prime appaiono oggi sottovalutate rispetto ad altri asset. I prezzi reali del rame e del petrolio restano ben al di sotto dei picchi storici, mentre gli indici azionari americani continuano a segnare record. In un contesto di inflazione persistente e banche centrali con margini di manovra ridotti, gli investitori potrebbero riscoprire il ruolo delle commodities come copertura strategica.

L’oro sta già svolgendo questa funzione, ma anche i metalli industriali potrebbero essere rivalutati come strumenti per proteggere i portafogli dall’instabilità. Tuttavia, il peso delle materie prime nei portafogli istituzionali resta minimo, complice la delusione generata dai prezzi deboli nell’ultimo decennio.

Un ciclo che può durare a lungo

La storia insegna che i super cicli non si esauriscono facilmente. Servono shock politici o rivoluzioni tecnologiche per interromperli. Dall’austerità monetaria negli anni ’80 alla rivoluzione dello shale oil negli Stati Uniti, fino al rallentamento immobiliare in Cina, solo eventi dirompenti sono stati in grado di spegnere questi fenomeni.

Oggi, con le condizioni di base che si stanno allineando, i mercati potrebbero essere alle porte di un nuovo lungo ciclo rialzista. La vera incognita resta il tempo visto che è difficile prevedere quando inizierà, ma i segnali che qualcosa stia cambiando sono sempre più evidenti.

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