Buongiorno,

Condivido con te le ultime notizie dalla Borsa LME relative alla scorsa settimana ed alcuni approfondimenti dal mondo dei metalli.

I segnali di discontinuità dei prezzi LME stanno mettendo in agitazione gli utilizzatori, privi di un’adeguata linea di azione sulle dinamiche di Borsa.

Durante questa settimana l’alluminio è emerso come un protagonista strategico, considerato l’ago della bilancia per la transizione industriale in Europa.

Le previsioni per questo metallo sembrano positive, con JP Morgan che anticipa un rialzo dei prezzi nella seconda metà del 2025. Questa attesa di aumento arriva anche sulla scia di un temporaneo allentamento delle tensioni commerciali: una tregua inaspettata di 90 giorni nella guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha infatti portato i mercati dei metalli, inclusi alluminio e rame, a tirare un sospiro di sollievo registrando incrementi di prezzo.

Anche l’accordo tra Stati Uniti e Regno Unito, che ha azzerato i dazi sull’alluminio e l’acciaio britannici diretti negli USA, è visto come un segnale incoraggiante per le imprese del Regno Unito e potenzialmente di buon auspicio per future discussioni sui dazi con l’Unione Europea.

Accanto all’alluminio, anche il rame beneficia di proiezioni positive. JP Morgan, infatti, estende le sue previsioni di rialzo dei prezzi alla seconda metà del 2025 anche per il rame. Analogamente all’alluminio, anche il rame ha visto i suoi prezzi aumentare dopo la tregua temporanea sui dazi tra USA e Cina.

Ma quella appena conclusa, si è dimostrata una settimana particolare anche per gli altri metalli industriali ad esclusione dei soli Piombo e Stagno.

Le aspettative di un’auspicata riduzione dei tassi sul dollaro, decisamente mal riposta da parte di molti operatori finanziari e soprattutto dal Presidente Trump, hanno come rabbuiato i propositi di molti, che avrebbero visto di buon grado un allentamento della politica monetaria da parte della Federal Reserve.

Una settimana che si è chiusa positivamente a Londra e a conforto di questa considerazione giunge anche l’analitico e imparziale dato riepilogativo dell’indice LMEX che ha evidenziato una progressione frazionale di punto percentuale dello 0,8 rispetto al precedente riferimento.

Il posizionamento di relativo interesse sulle quotazioni degli “industriali” in un diffuso contesto di massimi relativi a partire dalla difficile prima decade di aprile, quella dell’annuncio dei dazi di Trump, hanno spinto molti utilizzatori a pianificare acquisti di metalli anche oltre misura, generando delle azioni correttive sui prezzi dei metalli principali, portandoli a delle soglie riviste a distanza di oltre sei settimane.

Rame quasi tornato a quota 10.000

Il Rame è passato da lambire la linea dei 9650 USD 3mesi a collocarsi a fine ottava ad una stentata resistenza a quella dei 9450, con una regressione del 2% in termini complessivi, ma il cui allungo sarà poco probabile in questa direzione nelle prossime sedute.

Zinco con andamento simile a quello del Rame

Lo Zinco ha avuto un andamento simile a quello appena visto sul Rame, dove al punto di massimo, posto poco al di sopra dei 2750 dollari, ha poi ripiegato verso quota 2690 e quindi producendo una variazione negativa del 2,7% su base settimanale.

Le Leghe, Ottone e Zama

I valori delle leghe di Ottone e della Zama registreranno degli orientamenti non proprio univoci rispetto alle indicazioni dei metalli di riferimento. L’Ottone leggendo in modo più diretto le variazioni di Borsa di Rame e Zinco, trasmetterà verso il basso i suoi riferimenti di base per alcune decine di euro per tonnellata, mentre la Zama, i cui produttori sono abituati a adeguare le variazioni dei prezzi di vendita sulle medie del periodo, vedrà i suoi valori in crescita.

Alluminio torna ai livelli di fine marzo

L’Alluminio andrà osservato con molta attenzione e che a differenza di Rame e Zinco, potrà registrare già nel corso della settimana un riaggancio alla soglia dei 2500 dollari 3mesi e che mancava dalla fine di marzo.

Meno brillantezza per le quotazioni del Nichel

Un percorso meno costellato da aspettative positive attenderà il Nichel, un’affermazione che non dovrà procurare inutili allarmismi, piuttosto un senso di consapevolezza per il metallo che la soglia dei 16mila USD 3mesi, che fino a qualche settimana fa risultava alla sua portata, si sta momentaneamente allontanando alla volta della meno ambiziosa linea dei 15600 dollari.

Piombo e Stagno stabili ai massimi del periodo

Il Piombo e lo Stagno si distingueranno invece per dei profili delle rispettive curve che nei giorni scorsi non hanno evidenziato alcuna forma di storno, con il primo che darà rinforzo alla sua collocazione oltre i 2mila dollari 3mesi e il secondo, seppure con meno intensità, collocarsi sulla linea di massimo relativo tracciata all’inizio dell’ottava scorsa.

Alluminio: JP Morgan prevede rialzi, mentre la Svizzera vieta l’import dalla Russia

JP Morgan prevede un rialzo dei prezzi di alluminio e rame nella seconda metà del 2025. Nel frattempo, la Svizzera ha vietato le importazioni di alluminio da Russia e Bielorussia.

Le nuove previsioni di JP Morgan indicano un significativo aumento dei prezzi dell’alluminio (e anche del rame) nella seconda metà di quest’anno, sulla scia della inaspettata tregua di 90 giorni nella guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina.

Secondo la banca d’affari americana, il prezzo medio dell’alluminio si attesterà nella seconda parte del 2025 ad una media di 2.325 dollari a tonnellata (rame: 9.225 dollari a tonnellata).

Il cessate il fuoco commerciale, risultato dei recenti colloqui a Ginevra, ha determinato una sospensione di 90 giorni dei dazi reciproci tra le due potenze economiche.

Una dinamica che, secondo JP Morgan, ha ridotto in modo sostanziale le probabilità di una recessione globale, sostenendo la domanda e contenendo i rischi al ribasso sui prezzi dei metalli industriali.

I fondamentali a breve si allentano ma nel lungo termine le prospettive sono caute

Nel breve termine, la banca ritiene che il mercato possa beneficiare di una crescita dei prezzi, alimentata dal continuo anticipo degli acquisti cinesi. Tuttavia, le prospettive a lungo termine rimangono più caute: JP Morgan prevede una graduale debolezza nella domanda globale, che potrebbe contribuire a un allentamento dei rigidi fondamentali che hanno sostenuto i metalli fino ad aprile.

Nonostante un rischio potenziale legato al rallentamento del settore automobilistico – che rappresenta circa un quarto della domanda globale – JP Morgan segnala che la bassa copertura visibile delle scorte rappresenta un forte elemento di supporto per i prezzi.

In altri termini, le scorte di alluminio restano estremamente ridotte, contribuendo a mantenere alta la pressione sui prezzi, come testimoniato dalla quotazione attuale di 2.520 dollari a tonnellata sul London Metal Exchange (LME), ben al di sopra delle previsioni medie.

Nel caso del rame, l’istituto avverte che valori superiori a 9.500 dollari a tonnellata potrebbero incontrare una resistenza legata alla sensibilità dei compratori cinesi.

Anche le dinamiche di offerta sono in fase di mutamento: nei prossimi mesi, più metallo dovrebbe raggiungere l’Asia, mentre gli eccessi di spedizioni verso gli Stati Uniti diminuiranno a seguito dell’introduzione delle tariffe doganali imposte con la Sezione 232.

Le nuove sanzioni della Svizzera rafforzano la stretta sull’alluminio russo

Ad aggiungere ulteriore complessità allo scenario dell’alluminio, è intervenuto anche il governo svizzero, che ha ufficializzato il divieto di importazione di alluminio grezzo proveniente da Russia e Bielorussia.

Il divieto, appena entrato in vigore, mira a rafforzare le sanzioni contro Mosca e ad evitare eventuali aggiramenti delle restrizioni europee.

La Svizzera, allineandosi al 16° pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea, ha adottato anche nuove misure contro l’export di materiali sensibili, tra cui minerali di cromo e software per l’industria petrolifera.

Tuttavia, come sottolineato da Marcel Menet, presidente dell’Associazione Svizzera dell’Alluminio, parte del materiale russo continua a raggiungere i mercati internazionali passando per paesi terzi, come la Turchia.

Queste restrizioni, sommate alla scarsità delle scorte globali e al clima di incertezza geopolitica, potrebbero mantenere l’alluminio su livelli elevati nei mesi a venire, nonostante i timori di un indebolimento della domanda industriale.

L’accordo Ucraina-USA sulle terre rare è una sciocchezza per gli esperti minerari

Gli esperti avvertono che i giacimenti di terre rare dell’Ucraina sono sopravvalutati, obsoleti e in gran parte inaccessibili.

Gli Stati Uniti sperano di recuperare parte delle enormi somme spese per sostenere l’Ucraina nella guerra contro la Russia attraverso lo sfruttamento delle risorse minerarie del paese, in particolare dei metalli rari (terre rare comprese).

Il piano prevede la creazione di un Reconstruction Investment Fund, alimentato dai ricavi derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali statali ucraine, come terre rare, minerali critici, gas e petrolio.

Secondo una stima di Al Jazeera, l’Ucraina contribuirebbe al fondo con il 50% dei ricavi, ma resta oscuro chi fornirà il resto e quale sarà il reale controllo degli Stati Uniti su queste risorse.

Il piano ha, tuttavia, due problemi fondamentali: molte delle risorse si trovano in territori occupati dalla Russia e, ancor più critico, le terre rare non solo sono difficili da trovare in quantità economicamente rilevanti, ma richiedono processi lunghi e costosi per essere trasformate in ossidi puri, utilizzabili in settori ad alta tecnologia, dalla difesa alle batterie per veicoli elettrici.

Trump ha affermato che gli Stati Uniti avrebbero speso oltre 350 miliardi di dollari per sostenere l’Ucraina. In realtà, secondo l’autorevole Kiel Institute for the World Economy, il totale dell’assistenza americana — militare, finanziaria e umanitaria — si aggira attorno ai 118 miliardi di dollari.

Il Pentagono, invece, stima la spesa totale a 183 miliardi, includendo il costo per rimpiazzare le scorte militari inviate a Kiev.

Quali e quante risorse ha davvero l’Ucraina?

L’Ucraina è uno dei paesi più ricchi d’Europa in termini di risorse minerarie. Secondo il Ministero dell’Economia ucraino, il paese possiede depositi di 22 dei 34 minerali ritenuti critici dall’Unione Europea, inclusi titanio, zirconio, grafite, litio e diverse terre rare.

Si stima che le riserve ucraine di litio, essenziali per le batterie, siano tra le maggiori del continente.

Secondo Visual Capitalist, l’Ucraina conterrebbe risorse minerarie per un valore di circa 15.000 miliardi di dollari, pari al 5% delle risorse minerarie globali. La ricchezza del sottosuolo comprende 23 dei 50 materiali ritenuti strategici dal governo statunitense, come titanio, grafite, berillio e ovviamente elementi delle terre rare.

Il problema è che oltre il 50% di queste risorse si trovano in regioni oggi parzialmente o totalmente controllate dalla Russia: Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson.

Solo in queste aree, secondo il britannico The Independent, si concentrano risorse per oltre 6.000 miliardi di sterline. A esse si aggiungono i giacimenti in Crimea, annessa da Mosca nel 2014, e nella regione di Dnipropetrovsk, oggi minacciata da vicino dall’esercito russo.

Secondo il Center for International Relations and Sustainable Development, prima della guerra, l’Ucraina aveva censito 20.000 depositi minerari, di cui 8.700 già provati, contenenti 117 dei 120 metalli più usati al mondo.

Tuttavia, circa il 40% delle risorse metalliche si trova oggi in aree sotto controllo russo.

Le terre rare ucraine, tra mito e realtà

Nonostante la grande attenzione mediatica, l’Ucraina non figura neppure tra i primi 12 paesi al mondo per riserve accertate di terre rare (dati US Geological Survey). I depositi noti — come Yastrubetske, Novopoltavske, Azovske e Mazurivske — sono quasi tutti in zone occupate. E non è chiaro quanto siano realmente sfruttabili: molte stime risalgono all’epoca sovietica e non sono supportate da dati geologici moderni.

Erik Jonsson, geologo del Servizio Geologico Svedese, definisce i depositi “non rilevanti”, anche perché dominati da minerali come la britholite, per i quali non esistono processi consolidati di estrazione delle terre rare.

Ancora più netto è Jack Lifton, del Critical Minerals Institute: “Se volete minerali critici, l’Ucraina non è il posto giusto. È una fantasia. C’è dell’altro dietro questo progetto”.

L’estrazione è solo l’inizio: il vero valore sta nella raffinazione

La separazione delle terre rare è una delle operazioni più complesse e costose nel settore minerario.

Dopo la frantumazione del minerale, servono processi chimici sofisticati per separare i diversi elementi, spesso con centinaia di passaggi in vasche e soluzioni chimiche. Alcuni elementi pesanti richiedono mesi di lavorazione per ottenere un ossido puro utilizzabile.

A ciò si aggiungono ostacoli non tecnici: burocrazia farraginosa, accesso difficile ai dati geologici, problematiche legate ai diritti fondiari. Secondo The Independent, servirebbero anni e investimenti multimiliardari per avviare qualsiasi progetto minerario significativo di questo tipo in Ucraina.

Il sogno americano di ripagarsi la guerra con i minerali ucraini appare, nei fatti, un’illusione geopolitica. Le risorse ci sono, ma sono in gran parte irraggiungibili o troppo complesse da sfruttare.

In assenza di solide garanzie di sicurezza e con un sistema industriale poco sviluppato per la raffinazione dei materiali critici, il “minerals deal” rischia di restare più uno strumento di propaganda che un vero piano industriale.

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